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Rapporto sulla Situazione della epidemia Mpox in Sierra Leone (Maggio 2025) e Spiegazione della Malattia

1. Sintesi del Rapporto sulla Situazione dell’Mpox in Sierra Leone (Maggio 2025)

mpox nei bambini
mpox nei bambini

 

2300 casi di MPOX del ceppo virale “clade 2b” e oltre 15 morti il bilancio della grave epidemia, nel mese di maggio 2025, in Sierra Leone che sta affrontando una delle più gravi epidemie di Mpox (precedentemente vaiolo delle scimmie), in Africa, con un aumento esponenziale dei casi confermati.  La capitale, Freetown, è l’epicentro della epidemia, mettendo a dura prova le fragili infrastrutture sanitarie.
L’Ospedale Militare 34 di Freetown, cruciale nella risposta, opera al massimo della sua capacità (26 letti dedicati a MPOX).
Le sfide principali includono:
– una critica carenza di posti letto per l’isolamento (stimati solo 60 a livello nazionale contro oltre 2000 casi attivi),
finanziamenti inadeguati
difficoltà nel tracciamento dei contatti.
Le autorità hanno avviato una campagna di vaccinazione nazionale a marzo 2025 e introdotto nuove misure di sanità pubblica a inizio maggio 2025. Tuttavia, la rapida escalation suggerisce una possibile sottovalutazione iniziale della trasmissibilità del ceppo virale clade 2b.
La dichiarazione di emergenza sanitaria pubblica a gennaio 2025 non ha arginato l’impennata, indicando ritardi o insufficienza nelle misure attuative. Riguardo alla notizia di oltre 200 casi in aumento presso l’ospedale militare di Freetown, si chiarisce che la sua capacità di ricovero per Mpox è di 26 posti letto, tutti occupati; la cifra di 200 potrebbe riferirsi al volume cumulativo di pazienti gestiti o alla situazione generale di Freetown.

Situazione Epidemiologica (al 20 Maggio 2025)

L’epidemia ha visto un’accelerazione drammatica nel 2025. Al 12 maggio, si contavano 2.045 casi confermati dall’inizio dell’anno, con 1.586 casi attivi e 11 decessi. I casi sono aumentati nell’ultima settimana.
Il primo decesso è stato registrato il 10 marzo (59 casi totali). Solo l’11 maggio sono stati segnalati 165 nuovi casi.
A inizio maggio, la Sierra Leone registrava circa 100 nuovi casi al giorno, rappresentando oltre il 50% dei casi africani in una settimana.

reparto ospedale militare Free Town isolamento
reparto ospedale militare Free Town isolamento

Il ceppo responsabile è il clade 2b.
La Western Area Urban (Freetown) è l’epicentro con 1.326 casi (67% del totale nazionale),
seguita dalla Western Area Rural con 414 casi, indicando una diffusione anche fuori dalle aree urbane dense.
La maggior parte dei pazienti (68%) è di sesso maschile, con età più colpita tra i 30 e i 35 anni.
Il 7% dei pazienti Mpox è anche HIV-positivo, un gruppo ad alto rischio.

Focus sull’Ospedale Militare 34 di Freetown
L’Ospedale Militare 34 (34 Military Hospital) a Freetown è un centro primario per diagnosi e trattamento, grazie alla sua esperienza pregressa con Ebola e Febbre di Lassa e a infrastrutture specializzate.
Tuttavia, dispone di soli 26 posti letto dedicati all’Mpox, costantemente a pieno regime. Questa limitata capacità, a fronte degli oltre 1.300 casi a Freetown, rende impossibile gestire una frazione significativa dei casi che necessiterebbero ricovero, costringendo al trasferimento verso altri centri.
La notizia di “più di 200 casi in aumento” presso l’ospedale non è compatibile con la sua capacità di ricovero. È più probabile che si riferisca al numero cumulativo di pazienti diagnosticati/gestiti, al flusso di persone che si presentano per sospetta infezione, o a una generalizzazione della grave situazione a Freetown.
L’ospedale è certamente in prima linea, affrontando un carico di lavoro crescente in termini di valutazione, diagnosi e indirizzamento.

Risposta di Sanità Pubblica e Interventi
Il 19 marzo 2025 è stata lanciata una campagna nazionale di vaccinazione, con 61.300 dosi iniziali (da Gavi e Irlanda),
priorità a operatori sanitari,
contatti stretti
comunità hotspot.
A inizio maggio, quasi 24.000 persone erano state vaccinate (circa 60% operatori sanitari). Nonostante ciò, l’epidemia è cresciuta, suggerendo che ritmo e copertura vaccinale potrebbero essere stati insufficienti, data la rapida diffusione e le sfide logistiche. Si è registrata alta accettazione del vaccino tra il personale sanitario.
Il 5 maggio 2025, sono state introdotte nuove norme di sicurezza pubblica: igiene, sorveglianza e segnalazione (chiamando il 117), tracciamento contatti, isolamento domiciliare per sintomatici, distanziamento fisico, limitazione contatti e misure specifiche per luoghi pubblici.
Sono previste sanzioni per inosservanza. L’efficacia dipende dall’adesione comunitaria, potenzialmente compromessa da stanchezza da restrizioni e fattori socio-economici.
La capacità nazionale di trattamento e isolamento è gravemente inadeguata: a inizio maggio, solo 60 posti letto dedicati a livello nazionale, costringendo la maggioranza degli infetti a cure domiciliari, con rischio di trasmissione intra-domestica. Nonostante l’apertura di nuovi centri (quattro a Freetown a febbraio, più quelli di Jui e della polizia), la capacità resta insufficiente.

Sfide Sistemiche e Necessità
La carenza di risorse finanziarie è un ostacolo primario, con budget sottofinanziati già da agosto 2024 e prospettive di tagli ai fondi internazionali. Questa sottofinanziazione si traduce in carenze materiali, come i posti letto.
Debolezze operative includono un basso rapporto di tracciamento dei contatti nonostante una buona
copertura diagnostica, e la necessità di migliorare la capacità dei laboratori. L‘isolamento inadeguato per cure domiciliari forzate alimenta la diffusione.
La crisi si inserisce in un contesto regionale di recrudescenza del virus. L’Africa CDC monitora la situazione, avvertendo che l’intensa trasmissione in Sierra Leone potrebbe minacciare la sanità regionale. L’OMS classifica l’Mpox come emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale (PHEIC) e fornisce supporto.

Partner come UNICEF e Gavi contribuiscono con vaccini. Tuttavia, la sostenibilità a lungo termine dipende dal rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali.

Conclusioni e Raccomandazioni Preliminari
L’epidemia di Mpox in Sierra Leone a maggio 2025 è un’emergenza grave, con trasmissione rapida. L’Ospedale Militare 34 opera al limite dei suoi 26 posti letto per Mpox.

La risposta è insufficiente a causa di sfide sistemiche: cronica insufficienza di finanziamenti, carenza di posti letto per isolamento e debolezze nel tracciamento.

Le raccomandazioni includono:
2. Incremento urgente dei finanziamenti.
3. Espansione rapida della capacità di isolamento e trattamento.
4. Rafforzamento immediato della sorveglianza e del tracciamento dei contatti.
5. Accelerazione e ampliamento della campagna vaccinale.
6. Potenziamento del coinvolgimento comunitario e della comunicazione del rischio.
7. Supporto psicosociale per pazienti e operatori.
8. Investimenti a lungo termine nel sistema sanitario nazionale. È cruciale una comunicazione accurata per evitare panico e supportare la risposta.

 

2. Breve Spiegazione della Malattia Mpox

L’Mpox, precedentemente nota come vaiolo delle scimmie, è un’infezione virale. Si trasmette principalmente attraverso lo         – stretto contatto con una persona infetta,
– i suoi fluidi corporei,
– le lesioni,
– o con materiali contaminati (come lenzuola).

I sintomi tipici includono
– febbre,
– mal di testa,
– dolori muscolari,
– mal di schiena,
– linfonodi ingrossati,
– brividi e spossatezza,
seguiti o accompagnati da un’eruzione cutanea che può presentarsi come vescicole o lesioni piene di pus.

L’Mpox è endemica in alcune regioni dell’Africa centrale e occidentale, dove si verificano regolarmente focolai, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).
Recentemente, la comparsa e la rapida diffusione di un nuovo ceppo virale nella RDC (il clade Ib) ha destato preoccupazione per la sua apparente maggiore trasmissibilità.

Ricerche dati e redazione dr. Paolo Meo

foto gentilmente concesse dall’ ing. Claudio Belcastro direttamente dall’ Ospedale militare di Freetown

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Larva Migrans: Cause, Infestazione e Trattamenti Ottimali

La “larva migrans”
è una patologia parassitaria, causata da diversi tipi di “nematodi” che, seppur raramente grave, può causare sintomi fastidiosi e compromettere significativamente la qualità della vita dei pazienti colpiti. La forma cutanea, la più comune e facilmente riconoscibile, è causata principalmente da anchilostomi, ossia vermi che penetrano nella pelle umana e vi permangono senza completare il loro ciclo vitale.
La diagnosi, prevalentemente clinica, si basa sul riconoscimento delle caratteristiche lesioni serpiginose, che partono sempre da una lesione pomfoide, ed è caratteristica di storie di esposizione a terreni o sabbia, potenzialmente contaminati, in aree considerate endemiche. Il camminare a piedi nudi sul terreno o sulla sabbia espone, generalmente il piede al rischio di penetrazione delle larve del parassita.
L’albendazolo e l’ivermectina costituiscono il gold standard della terapia, ed offrono elevati tassi di guarigione, rendendo la prognosi generalmente favorevole.
La prevenzione rimane l’approccio più efficace, particolarmente per i viaggiatori diretti verso aree tropicali e subtropicali. L’adozione di semplici misure precauzionali, ossia evitare di camminare a piedi nudi in terreni sabbiosi, potenzialmente contaminati, ed anche evitare il contatto con cani o gatti senza controllo parassitario. Con queste accortezze si riduce significativamente il rischio di infestazione.
La crescente diffusione della larva migrans in aree precedentemente non colpite, in relazione ai cambiamenti climatici, con maggiore umidità e soprattutto pioggia e diffusione delle micro larve, induce ad adottare comportamenti di attenzione. E’ importante una continua sorveglianza epidemiologica e un’adeguata informazione della popolazione sui rischi associati a questa patologia sempre più diffusa.

La malattia denominata “larva migrans” rappresenta una condizione parassitaria determinata da diverse specie di parassiti. Colpisce la pelle e, in alcune varianti, gli organi interni. Le forme più comuni di questa infestazione sono
la “larva migrans cutanea”, causata principalmente da “anchilostomi tipici di animali,
la “larva migrans viscerale”, risultante dalla migrazione delle larve attraverso gli organi interni.

Definizione e tipologie di Larva Migrans
La “larva migrans” comprende diverse manifestazioni cliniche, classificate in base alla localizzazione dell’infestazione nel corpo umano.
Larva Migrans Cutanea
La larva migrans cutanea (LMC), nota anche come “dermatite serpiginosa” o “eruzione strisciante”, è una malattia dermatologica causata dalla penetrazione transcutanea delle larve di un verme uncinato, l’anchilostoma, che vive come parassita “commensale” nell’intestino di diverse specie animali, principalmente cani e gatti. Questa forma rappresenta la manifestazione più comune della patologia ed è caratterizzata da “lesioni cutanee serpiginose” facilmente riconoscibili.
I parassiti principalmente responsabili sono
l’*Ancylostoma caninum*, parassita tipico del cane con distribuzione cosmopolita;
l’*Ancylostoma braziliense*, diffuso nelle aree tropicali e subtropicali, capace di infestare sia cani che gatti. Questi parassiti, non trovando nell’uomo un ambiente idoneo al loro sviluppo completo, rimangono confinati negli strati superficiali della cute, dove causano i caratteristici segni clinici.

Altre forme di Larva Migrans
Oltre alla forma cutanea, esistono altre varianti di questa infestazione parassitaria:
“Larva migrans viscerale”: si verifica quando gli esseri umani ingeriscono inavvertitamente “uova embrionate” delle specie *Toxocara canis* o *Toxocara cati*, con conseguente migrazione delle larve attraverso vari organi interni.
“Larva migrans oculare”: in questa forma, le larve invadono il tessuto oculare, causando potenziali danni alla vista.
“Larva migrans neurale”: caratterizzata dalla migrazione dei parassiti verso il sistema nervoso centrale, provocando sintomi neurologici.
“La larva currens”, invece, è una forma particolare causata dallo *Strongyloides stercoralis*, che si manifesta con lesioni serpiginose orticarioidi a rapida progressione, iniziando tipicamente in prossimità della cute perianale.

Meccanismi di trasmissione e infestazione
Il ciclo di trasmissione della larva migrans cutanea inizia con l’eliminazione delle uova del parassita attraverso le feci degli animali infestati.
Ciclo biologico e modalità di contagio
Gli animali infestati dall’anchilostoma espellono con i loro escrementi le microscopiche uova del parassita, dalle quali nascono poi le larve. Queste si sviluppano particolarmente in condizioni di caldo (temperature di 20-30°C) e nei terreni umidi. Le larve sono ottime “nuotatrici” e si propagano tra le gocce di pioggia, sulle foglie o sulla vegetazione, fino a entrare in contatto con un organismo ospite.
L’uomo viene contagiato attraverso il contatto diretto con il terreno contaminato dalle feci degli animali. Le larve penetrano nella pelle e, non trovando un ambiente adatto al loro completo sviluppo nell’ospite umano, rimangono confinate nel tessuto sottocutaneo. A differenza di quanto avviene negli animali, nell’uomo le larve non raggiungono il circolo sanguigno, ma parassitano esclusivamente la cute.

Fattori di rischio e aree geografiche
La malattia è particolarmente diffusa in quelle zone in cui si verificano violazioni delle norme igieniche di base e condizioni di stretta coabitazione tra uomo e animali domestici. Alle nostre latitudini si osserva principalmente in soggetti che hanno soggiornato in aree a più alto rischio.
L’ambiente ideale per la trasmissione all’uomo è rappresentato dalle spiagge caldo-umide tropicali, dove la sabbia contaminata offre condizioni ottimali per lo sviluppo delle larve. L’infestazione è tipica dei Caraibi, meno frequente in Turchia e Grecia, e ancora più rara in Adriatico e Costa Azzurra.
La larva migrans cutanea rappresenta una delle più frequenti malattie dermatologiche tra i viaggiatori di ritorno dai paesi tropicali.
L’emergenza di questa condizione in regioni precedentemente immuni sia dovuta ai cambiamenti climatici.

Manifestazioni cliniche e diagnosi
La larva migrans cutanea si manifesta con segni clinici caratteristici che ne facilitano la diagnosi.

Sintomi e segni clinici principali
Le larve scavano nell’epidermide, provocando lesioni che hanno l’aspetto di sottili linee rosse filiformi dall’andamento tortuoso (da cui il nome di “dermatite serpiginosa”). Le lesioni si localizzano sotto la cute delle zone poste a contatto diretto con il terreno contaminato: mani, piedi, glutei e schiena.
Il cammino delle larve provoca forte prurito e dolore, particolarmente intenso durante la notte. Possono inoltre manifestarsi piccole escrescenze e vescicole. Il grattamento di queste lesioni può portare a infezioni batteriche secondarie della pelle.
In alcuni casi, la larva migrans cutanea può essere complicata da una reazione polmonare autolimitante, definita sindrome di Löffler, caratterizzata da infiltrati polmonari a chiazze ed eosinofilia periferica.

Approccio diagnostico
La diagnosi di larva migrans cutanea si basa essenzialmente sull’anamnesi e sull’aspetto clinico caratteristico delle lesioni. Gli elementi chiave per la diagnosi includono:
– Storia recente di viaggi in aree endemiche tropicali o subtropicali
– Esposizione della pelle a sabbia o terreno potenzialmente contaminati
– Presenza delle caratteristiche lesioni serpiginose
– Intenso prurito associato alle lesioni
Gli esami ematochimici possono evidenziare un lieve incremento degli eosinofili nel sangue, come riportato in un caso clinico di una bambina di 4 anni con larva migrans cutanea che presentava 830 eosinofili/mmc.

Trattamenti farmacologici e loro efficacia
Sebbene la larva migrans cutanea sia una condizione autolimitante, l’intenso prurito e il rischio di infezioni secondarie rendono necessario un trattamento specifico.
Opzioni terapeutiche principali
I farmaci antielmintici rappresentano il cardine della terapia, con diverse opzioni disponibili:
1. “Albendazolo”: rappresenta uno dei trattamenti di prima scelta. La posologia raccomandata è di 400 mg al giorno per via orale per 3 giorni consecutivi. Questo regime terapeutico ha dimostrato tassi di guarigione variabili tra il 46% e il 100%.
2. “Ivermectina”: può essere somministrata come dose singola di 12 mg, eventualmente ripetuta il giorno successivo. Gli studi hanno evidenziato tassi di efficacia molto elevati, compresi tra l’81% e il 100%.
3. “Terapie topiche”: alcuni esperti raccomandano il trattamento topico con ivermectina, tiabendazolo (in sospensione al 10% o crema al 15%) o metronidazolo crema, tutti utilizzati quattro volte al giorno.

Recentemente, nel febbraio 2025, l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha adottato un parere favorevole all’uso di ivermectina-albendazolo in associazione per il trattamento di infezioni causate da diverse tipologie di vermi parassiti, incluse quelle provocate da anchilostomi.

Confronto tra i diversi approcci terapeutici
Secondo gli studi disponibili, l’ivermectina orale sembra offrire i tassi di guarigione più elevati, raggiungendo fino al 100% di efficacia in dose singola.
L’albendazolo, seppur altamente efficace, mostra una maggiore variabilità nei risultati terapeutici (46-100%).
I trattamenti topici presentano limitazioni, specialmente in caso di lesioni multiple e di follicolite da anchilostoma, e richiedono applicazioni tre volte al giorno per almeno 15 giorni. La crioterapia (congelamento del fronte avanzante della traccia cutanea) raramente risulta efficace.
Nel caso degli altri tipi di larva migrans, come la forma viscerale, possono essere necessari dosaggi o durate di trattamento differenti. Per la larva migrans viscerale, ad esempio, il dosaggio raccomandato è di 400 mg di albendazolo due volte al giorno per 5 giorni.

Prevenzione e misure profilattiche
La prevenzione della larva migrans risulta fondamentale, specialmente per i viaggiatori diretti verso aree endemiche.
Misure preventive individuali
Per ridurre il rischio di infestazione, è consigliabile:
– Evitare il contatto diretto della pelle con terreno potenzialmente contaminato;
– Non camminare a piedi nudi sulle spiagge a rischio;
– Utilizzare teli da spiaggia o sdraio anziché sdraiarsi direttamente sulla sabbia;
– Praticare una corretta igiene personale durante i soggiorni in aree endemiche

Controllo degli animali domestici
Per prevenire la contaminazione ambientale da parte di cani e gatti, è importante:
– Sottoporre regolarmente gli animali domestici a trattamenti antielmintici;
– Nelle aree in cui il rischio è rappresentato principalmente da *Toxocara* spp., per i cani e i gatti che vivono all’aperto si raccomanda la sverminazione almeno quattro volte l’anno;
– Rimuovere prontamente le feci degli animali domestici dalle aree pubbliche e private;
Queste misure, insieme a una maggiore consapevolezza dei rischi associati alle aree endemiche, possono ridurre significativamente l’incidenza della larva migrans nelle popolazioni a rischio.

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ANSIA: Il Sistema di Allarme Umano. Definizione e Funzioni Evolutive

1.1 ANSIA costituisce il “Sistema di Allarme Umano”: Definizione e Funzioni Evolutive

• Meccanismi neurobiologici dell’ansia (amigdala, corteccia prefrontale)
L’ANSIA rappresenta uno dei più raffinati sistemi di allarme sviluppati dall’evoluzione umana. In un’ottica psicobiologica ed evoluzionista, questo meccanismo funge da indispensabile segnalatore quando potenziali pericoli entrano nel nostro “spazio di vita”. Come un sofisticato dispositivo di sicurezza, ci informa di minacce imminenti e ci …. continua a leggere

 

• Differenze tra ansia adattiva e patologica

Ansia adattiva e patologica: quando l’allarme funziona e quando si inceppa
L’ansia, come ogni sistema di allarme, ha una funzione adattiva fondamentale che ci ha permesso, come specie, di sopravvivere e prosperare.
In determinate circostanze, provare ansia non solo è normale, ma assolutamente vantaggioso. Come distinguere però quando questo meccanismo opera correttamente e quando invece si trasforma in un problema? continua a leggere….


• Confronto interspecie: come altri mammiferi gestiscono l’ansia

L’ansia oltre l’umano: come i mammiferi gestiscono la paura
L’ansia non è un’esclusiva umana, ma rappresenta un antico meccanismo di sopravvivenza condiviso con molte altre specie animali. Paura e ansia giocano un ruolo centrale nella vita dei mammiferi, ma sono presenti anche negli uccelli e probabilmente in molti altri gruppi animali.  Si tratta infatti di meccanismi di protezione e difesa ……

 

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Ansia adattiva e patologica: quando l’allarme funziona e quando si inceppa

Ansia adattiva e patologica: quando l’allarme funziona e quando si inceppa
L’ansia, come ogni sistema di allarme, ha una funzione adattiva fondamentale che ci ha permesso, come specie, di sopravvivere e prosperare.
In determinate circostanze, provare ansia non solo è normale, ma assolutamente vantaggioso.

Come distinguere però quando questo meccanismo opera correttamente e quando invece si trasforma in un problema?
L’ansia adattiva rappresenta una risposta proporzionata a minacce reali o probabili.
Ad esempio quando un esame importante si avvicina, un moderato livello di ansia ci aiuta a
rimanere concentrati,
a studiare con maggiore intensità
e a mobilitare tutte le nostre risorse cognitive.
In questo caso, l’ansia funziona come un potente motivatore che ci spinge a prepararci adeguatamente.

Simili meccanismi si attivano quando dobbiamo
parlare in pubblico,
affrontare una sfida sportiva
o prendere decisioni significative per la nostra vita.
In questi contesti, l’ansia è temporanea, proporzionata alla situazione e, soprattutto, funzionale: ci aiuta piuttosto che ostacolarci.
Analizzare il contesto diventa fondamentale:
se l’ansia compare in risposta a una minaccia concreta e scompare una volta che questa è passata, stiamo osservando un sistema di allarme che funziona correttamente.
Un esempio eloquente è quello dell’automobilista che, percependo un veicolo che sbanda nella sua direzione, sperimenta un’immediata attivazione ansiosa che lo porta a reagire prontamente per evitare l’incidente. Una volta superato il pericolo, l’ansia si attenua gradualmente, lasciando forse solo un comprensibile residuo di tensione.

Ben diversa è la condizione quando l’ansia diventa patologica.
In questo caso, il sistema di allarme inizia a malfunzionare, attivandosi in modo inappropriato o con intensità sproporzionata.

Secondo gli esperti, l’ansia può considerarsi problematica
quando supera una certa soglia di intensità,
quando persiste anche in assenza di minacce concrete
o quando non è chiaro il motivo per cui si è attivata.

In queste circostanze, anziché aiutarci, l’ansia diventa essa stessa fonte di preoccupazione, innescando un circolo vizioso:
più percepiamo l’ansia,
più ci preoccupiamo,
alimentando ulteriormente il circuito in una spirale che può culminare nella temuta perdita di controllo tipica dell’attacco di panico.
La differenza tra ansia adattiva e patologica si manifesta chiaramente
nella frequenza
e nell’intensità degli episodi.
Nell’ansia patologica esistono episodi frequenti, spesso prolungati e di elevata intensità,
mentre nell’ansia adattiva gli episodi sono occasionali, di durata limitata e di intensità gestibile.

Un altro elemento distintivo riguarda la percezione del pericolo:
nell’ansia adattiva, il timore riguarda una minaccia reale o altamente probabile;
nell’ansia patologica, invece, la persona sperimenta un malessere emotivo di fronte a un danno futuro che è possibile, ma non poi così probabile.

Consideriamo un esempio concreto:
(1) un individuo con ansia adattiva potrebbe sentirsi teso e preoccupato prima di un intervento chirurgico programmato – una reazione comprensibile di fronte a una situazione oggettivamente stressante.
Una volta superata l’operazione con successo, l’ansia diminuisce naturalmente.

(2) Al contrario, una persona con ansia patologica potrebbe sviluppare una preoccupazione costante e invalidante per la propria salute anche in assenza di reali problemi medici, interpretando ogni piccola sensazione corporea come segnale di una malattia grave, sottoponendosi a continui controlli medici e vivendo in uno stato di allerta permanente che compromette significativamente la qualità della vita.

Le manifestazioni fisiche dell’ansia accompagnano entrambe le forme, ma con differenze significative.
Nei quadri patologici, i sintomi possono raggiungere un’intensità considerevole:
sensazione di soffocamento,
oppressione o dolore al petto,
vertigini,
tremori intensi,
sudorazione profusa,
tachicardia marcata.
Questi sintomi diventano spesso oggetto di ulteriore preoccupazione
(“Sto avendo un infarto?”, “Sto per svenire?”), amplificando il circolo vizioso dell’ansia.

Fortunatamente, esistono numerose tecniche efficaci per gestire l’ansia quando questa diventa problematica.
Le più semplici da apprendere e utilizzare si basano
sulla respirazione,
sfruttando il collegamento neurovegetativo che lega il diaframma al centro encefalico responsabile della risposta ansiosa1.
Tecniche di respirazione diaframmatica,
meditazione mindfulness e
training autogeno

possono aiutare a riportare il sistema di allarme a livelli funzionali, interrompendo la spirale dell’ansia prima che raggiunga intensità debilitanti.

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L’ANSIA COME SISTEMA DI ALLARME UMANO: MECCANISMI, FUNZIONI E CONFRONTI

L’ANSIA COME SISTEMA DI ALLARME UMANO: MECCANISMI, FUNZIONI E CONFRONTI

L’ANSIA rappresenta uno dei più raffinati sistemi di allarme sviluppati dall’evoluzione umana.    In un’ottica psicobiologica ed evoluzionista, questo meccanismo funge da indispensabile segnalatore quando potenziali pericoli entrano nel nostro “spazio di vita”.
Come un sofisticato dispositivo di sicurezza, ci informa di minacce imminenti e ci invita ad agire per impedirne o limitarne gli effetti dannosi.
Attraverso segnali come:
l’agitazione psico-motoria,
la difficoltà di concentrazione,
lo stato di preoccupazione
e sintomi fisici quali sudorazione, tremori e tachicardia,
l’ansia ci prepara ad affrontare o evitare situazioni potenzialmente rischiose.

Questo sistema ancestrale ha garantito per millenni la sopravvivenza della nostra specie, ma come ogni meccanismo complesso, può talvolta funzionare in modo imperfetto, trasformandosi da alleato a fonte di malessere.

Meccanismi neurobiologici dell’ansia: il cervello in stato di allerta
Il nostro cervello ospita un sofisticato circuito dedicato alla gestione delle minacce, in cui diverse strutture comunicano costantemente tra loro per valutare i pericoli e attivare risposte appropriate.
Al centro di questo network si trova l’amigdala, una piccola struttura a forma di mandorla situata nel lobo temporale, che rappresenta l’autentico epicentro degli eventi coinvolti nella modulazione degli stati d’ansia.
Quando percepiamo una potenziale minaccia, le informazioni sensoriali raggiungono prima il talamo, una sorta di centrale di smistamento che le inoltra contemporaneamente verso due direzioni:
l’amigdala
e la corteccia cerebrale.

Questa duplice trasmissione crea due percorsi distinti:
una “via rapida” che consente all’amigdala di innescare una risposta immediata,
una “via lenta” che coinvolge l’analisi corticale più sofisticata.
La via rapida rappresenta un meccanismo evolutivo fondamentale che ci permette di reagire velocemente ai pericoli prima ancora di averne piena consapevolezza cognitiva – è quella che ci fa sobbalzare istintivamente quando intravediamo qualcosa di simile a un serpente nel nostro campo visivo2.
L’amigdala, ricevute queste informazioni, attiva immediatamente il sistema di risposta allo stress, coinvolgendo il sistema nervoso autonomo.
Questo innesca la classica reazione di “combattimento o fuga” (fight or flight):
il battito cardiaco accelera,
la respirazione diventa più rapida,
i muscoli si tendono e
l’organismo si prepara ad affrontare la minaccia o a fuggire.

Contemporaneamente, vengono stimolate ghiandole endocrine che rilasciano ormoni come adrenalina e cortisolo, potenziando ulteriormente questa risposta.

Ma cosa impedisce a questo potente sistema di allarme di attivarsi continuamente in modo inappropriato? Qui entra in gioco la corteccia prefrontale, particolarmente l’area dorsomediale (DMPFC) e la corteccia prefrontale mediale.
Studi di neuroimaging hanno rivelato che queste regioni svolgono un ruolo cruciale nella regolazione dell’ansia inviando segnali inibitori all’amigdala.
In particolare, la corteccia prefrontale mediale invia informazioni capaci di attenuare le risposte di ansia e paura.
È interessante notare che in persone con disturbo d’ansia generalizzato sono stati osservati volumi maggiori sia dell’amigdala che della corteccia prefrontale dorsomediale, suggerendo alterazioni strutturali in questo delicato equilibrio.

Un esempio concreto di questo complesso meccanismo in azione lo viviamo
“quando ci troviamo di fronte a un colloquio di lavoro importante”.
Non appena riceviamo la convocazione, l’amigdala può iniziare a segnalare un potenziale “pericolo sociale”.
I pensieri di possibile fallimento attivano il circuito dell’ansia: il cuore batte più velocemente, lo stomaco si contrae, le mani potrebbero sudare. Contemporaneamente, la corteccia prefrontale cerca di contestualizzare la situazione, ricordandoci che non siamo in pericolo fisico e che abbiamo le competenze necessarie.
Questo dialogo neurale determina l’intensità della nostra ansia: sufficiente a mantenerci vigili e preparati, ma idealmente non così intensa da compromettere la nostra performance.

Le tecniche di neuroimaging hanno rivelato come questo equilibrio possa alterarsi in condizioni patologiche.
Nei disturbi d’ansia, l’iperattività dell’amigdala si accompagna spesso a una ridotta capacità della corteccia prefrontale di esercitare il suo controllo inibitorio. È come se il sistema di allarme rimanesse bloccato in posizione “on”, generando una risposta ansiosa sproporzionata o persistente anche in assenza di minacce concrete6.

La comprensione di questi meccanismi neurobiologici ha rivoluzionato l’approccio terapeutico ai disturbi d’ansia.

Tecniche come la terapia cognitivo-comportamentale mirano a rafforzare il controllo prefrontale sull’amigdala, insegnando strategie per reinterpretare le situazioni ansiogene.
Parallelamente, interventi farmacologici agiscono modulando i neurotrasmettitori coinvolti in questi circuiti, contribuendo a ristabilire l’equilibrio neurochimico alterato.

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L’ansia oltre l’umano: come i mammiferi gestiscono la paura

L’ansia oltre l’umano: anche i mammiferi ed il mondo animale gestiscono la paura.
L’ansia non è un’esclusiva umana, ma rappresenta un antico meccanismo di sopravvivenza condiviso con molte altre specie animali.
Paura e ansia giocano un ruolo centrale nella vita dei mammiferi, ma sono presenti anche negli uccelli e probabilmente in molti altri gruppi animali.
Si tratta infatti di meccanismi di protezione e difesa estremamente antichi, affinatisi attraverso milioni di anni di evoluzione per garantire la sopravvivenza in ambienti ricchi di predatori e pericoli.
Dal punto di vista evolutivo, l’importanza di questi sistemi è evidente:
un animale incapace di provare paura non sarebbe in grado di riconoscere il pericolo e finirebbe rapidamente “nei guai”, come evidenziano gli esperti.
La capacità di percepire minacce e reagire appropriatamente rappresenta quindi un vantaggio selettivo cruciale, conservato attraverso innumerevoli generazioni nella maggior parte delle specie.
Ciò che distingue l’esperienza umana dell’ansia da quella degli altri animali è principalmente il livello di astrazione.
Gli esseri umani, dotati di capacità cognitive superiori, possono provare ansia sia per minacce concrete e immediate che per pericoli più astratti o lontani nel tempo. Possiamo angosciarci per la paura della morte, per una crisi finanziaria futura o per il cambiamento climatico – concetti che richiedono un elevato grado di astrazione.
Al contrario, per animali con minori capacità di astrazione, presumiamo che solo le minacce concrete – come la presenza di predatori, individui aggressivi o esperienze dolorose – possano provocare stati ansiosi.

Un aspetto affascinante di questo fenomeno riguarda il contagio emotivo tra specie diverse.
Non solo condividiamo questi meccanismi con altri mammiferi, ma possiamo anche trasmetterci reciprocamente stati ansiosi.
Chi vive con animali domestici ha sicuramente notato come il proprio cane o gatto possa percepire e reagire all’ansia del proprietario, e viceversa.
Questa comunicazione emotiva interspecifica gioca un ruolo fondamentale nelle relazioni che stabiliamo con gli animali con cui condividiamo la nostra vita e può influenzare significativamente anche i processi di guarigione e cura.
Un esempio concreto di questo fenomeno si osserva nei rifugi per animali:
cani nervosi e ansiosi tendono a trasmettere il loro stato emotivo sia agli altri animali presenti che agli umani che interagiscono con loro.
Parallelamente, operatori calmi e centrati possono esercitare un effetto tranquillizzante sugli animali stressati.
Veterinari e comportamentalisti animali sono ben consapevoli di questa dinamica e spesso raccomandano ai proprietari di mantenere la calma durante le procedure mediche, per evitare di amplificare l’ansia dei loro animali.

Nonostante queste similitudini, esistono differenze significative nel modo in cui le diverse specie sperimentano e gestiscono l’ansia. Gli studi etologici hanno rivelato che le risposte comportamentali possono variare considerevolmente: mentre alcuni animali rispondono al pericolo con
l’immobilità (freezing),
altri optano per la fuga,
e altri ancora per l’aggressione.
Queste differenze riflettono adattamenti evoluti in risposta a pressioni ambientali specifiche e al tipo di predatori con cui ogni specie si è confrontata durante la sua storia evolutiva.

Anche a livello neurobiologico si osservano sorprendenti somiglianze tra umani e altri mammiferi. L’amigdala, struttura centrale nel circuito dell’ansia umana, svolge un ruolo analogo in molte altre specie. Studi di neuroimaging comparativo hanno mostrato attivazioni simili in questa regione cerebrale quando umani, primati non umani e altri mammiferi sono esposti a stimoli minacciosi. Queste somiglianze neuroanatomiche e funzionali suggeriscono che i meccanismi di base dell’ansia si siano conservati attraverso diversi rami dell’albero evolutivo dei vertebrati.
Un aspetto particolarmente interessante riguarda la dimensione culturale e sociale dell’ansia.
Nelle specie altamente sociali, come molti primati, i lupi o gli elefanti, i comportamenti ansiosi possono essere modulati da norme e regole sociali.
Giovani animali imparano dai membri più anziani del gruppo quali stimoli temere e come rispondere appropriatamente alle minacce. Questo apprendimento sociale delle risposte emotive rappresenta un parallelo affascinante con le dinamiche umane, dove cultura e socializzazione giocano un ruolo cruciale nella definizione di ciò che percepiamo come minaccioso.
Riconoscere queste connessioni emotive tra specie ci invita a considerare con maggiore empatia e consapevolezza il nostro rapporto con gli altri abitanti del pianeta.
L’ansia, lungi dall’essere un’esclusiva fragilità umana, emerge come un linguaggio emotivo condiviso, un ponte invisibile che collega esperienze di vita apparentemente distanti, ricordandoci la nostra profonda appartenenza alla comunità più ampia degli esseri senzienti.

Il sistema di allarme dell’ansia rappresenta uno straordinario esempio di come l’evoluzione abbia plasmato meccanismi sofisticati per garantire la nostra sopravvivenza.
Dalla neurobiologia che ne regola l’attivazione,

alle distinzioni tra forme adattive e patologiche,
fino ai paralleli con altre specie animali,
comprendere l’ansia nelle sue molteplici sfaccettature ci permette di utilizzare al meglio questo prezioso strumento evolutivo.

Quando funziona correttamente, l’ansia ci stimola a prepararci per le sfide, ci mantiene vigili di fronte ai pericoli e ci spinge a pianificare il futuro. Quando invece si inceppa, diventa essa stessa fonte di sofferenza. Riconoscere questi meccanismi ci aiuta non solo a gestire meglio le nostre risposte emotive, ma anche a sviluppare una più profonda comprensione delle dinamiche emotive che condividiamo con gli altri esseri viventi, arricchendo la nostra visione del mondo naturale e delle connessioni invisibili che ci uniscono al resto della vita sul pianeta.

L’ansia oltre l’umano: come i mammiferi gestiscono la paura Leggi tutto »

Diarrea del viaggiatore, guida alla prevenzione per turisti avventurosi. i farmaci giusti

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La Guida Essenziale alla Prevenzione e Gestione della Diarrea del Viaggiatore per Esploratori Avventurosi

 

Per il viaggiatore moderno, l’avventura non risiede solo nella scoperta di paesaggi mozzafiato o culture lontane, ma anche nella capacità di navigare le sfide sanitarie che territori esotici possono presentare. Tra queste, la **diarrea del viaggiatore** emerge come un ostacolo frequente e potenzialmente debilitante, capace di trasformare un’esperienza indimenticabile in un incubo logistico, fisico e mentale. Questo articolo approfondisce strategie pratiche per prevenire e gestire questa condizione, con un focus specifico sull’utilizzo razionale di farmaci protettivi, l’integrazione di pratiche igieniche avanzate e il ruolo innovativo della telemedicina nel supporto ai globetrotter.

L’Impatto della Diarrea del Viaggiatore sull’Esperienza di Esplorazione

Il Rischio Invisibile nelle Destinazioni Esotiche
La diarrea del viaggiatore non è un semplice inconveniente, ma una minaccia sistemica per chi si avventura in regioni con infrastrutture sanitarie fragili. Paesi come l’India, il Vietnam o il Perù, nonostante il loro fascino culturale, presentano tassi di incidenza superiori al 60% tra i visitatori internazionali, con picchi durante la stagione delle piogge o in aree rurali. Gli agenti patogeni responsabili – da *Escherichia coli* enterotossigeno (ETEC) a *Campylobacter* e *Giardia lamblia* – prosperano in ambienti con scarsa igiene idrica, trasformando fonti apparentemente innocue come il ghiaccio nelle bevande o il cibo di strada in vettori di infezione.

Fattori di Rischio Specifici per il Viaggiatore Avventuroso
L’esploratore che opta per trekking remoti, navigazione fluviale o soggiorni in eco-lodge spesso affronta condizioni estreme:
– **Approvvigionamento idrico non controllato**, con fonti dipendenti da fiumi o pozzi superficiali.
– **Carenza di refrigerazione**, che accelera la proliferazione batterica negli alimenti.
– **Esposizione a varianti microbiche non presenti nel microbiota intestinale del viaggiatore**.
Queste variabili richiedono un approccio preventivo più aggressivo rispetto al turista convenzionale, bilanciando l’uso di farmaci con adattamenti comportamentali.

 Strategie di Prevenzione Avanzata per l’Esploratore

La Triade Farmacologica Protettiva
La profilassi farmacologica rappresenta uno scudo critico per chi si spinge oltre i circuiti turistici tradizionali. Tre agenti emergono come cardini:

 1. Doxiciclina (Bassado 100 mg): L’Antibiotico Multifunzione
Agente preferito per:
**Profilassi quotidiana** (1 compressa/die) in aree ad alto rischio batterico.
**Trattamento d’urto** (2 compresse al primo sintomo), efficace su ETEC e *Vibrio cholerae*.
– **Protezione aggiuntiva** contro malaria, leptospirosi e infezioni cutanee da morso di zecca.

2. Rifaximina (Normix 200 mg): Il Disinfettante Intestinale Mirato
Sinergizza con la doxiciclina offrendo:
– **Azione topica** nel lume intestinale senza assorbimento sistemico.
– **Efficacia su ceppi resistenti** grazie al meccanismo d’azione su RNA polimerasi batterica.
– **Riduzione del rischio di disbiosi** post-terapia per il suo spettro ristretto[1].

3. Vaccino ORAVACS (Dukoral ): Immunizzazione Strategica
Il vaccino orale anticolera/ETEC fornisce:
**Protezione crociata** al 67% contro ETEC per 3 mesi.
**Riduzione della gravità** degli episodi anche quando l’infezione supera l’immunità.
**Compatibilità** con chemioprofilassi antimalarica.

Ottimizzazione dell’Igiene in Condizioni Estreme
Oltre ai farmaci, tecniche sul campo minimizzano l’esposizione:
**Purificazione idrica a 3 stadi**: Filtrazione (0.2 μm) → Clorazione (2 ppm) → Ebollizione (1’ a pieno rollio).
– **Disinfezione UV portatile** per alimenti crudi, con esposizione di 90 secondi/cm².
**Protocollo di cottura DIN 10536**: Temperatura interna ≥74°C mantenuta per 15” in carne/pesce.

Gestione Acuta: Dall’Intervento Precoce alla Crisi

L’Algoritmo del Primo Soccorso Farmacologico
Al manifestarsi di ≥3 scariche liquide/24h:
1. **Doxiciclina 200 mg** in dose singola + **Rifaximina 400 mg** ogni 8h per 72h.
2. **Soluzione reidratante WHO-ORS** (1L/die) con aggiunta di 20g di amido resistente per riparazione mucosa.
3. **Monitoraggio biomarkers**: Stick fecale per leucociti, lattoferrina e calprotectina per discriminare eziologia.

Evitare le Trappole Terapeutiche
– **Loperamide (Imodium)**: Utilizzabile solo in combinazione con antibiotici e mai oltre 48h, per il rischio di megacolon tossico.
– **Probiotici**: *Saccharomyces boulardii* CNCM I-745 riduce la durata dei sintomi del 23% se iniziato precocemente.
– **Bimixin**: Obsoleto per resistenze >80% in Asia e Africa, da evitare in protocolli moderni.

 

Il Ruolo della Telemedicina nell’Esplorazione Remota

 Consulenza Pre-Partenza Personalizzata
Piattaforme digitali consentono:
– **Analisi del rischio microbiologico** basata su destinazione, stagione e itinerario.
– **Piano vaccinale/farmacologico adattato**
– **Simulazioni di emergenza** con realtà virtuale per gestione crisi in assenza di rete.

Supporto Real-Time Durante l’Esplorazione
– **Teleconsulto con infettivologo** per aggiustamento terapeutico in base all’antibiogramma locale.
– **Mappe interattive** dei focolai attivi aggiornate in crowdsourcing dalla community medica globale.

## Oltre la Prevenzione: Verso un Nuovo Paradigma di Viaggio Sicuro

La diarrea del viaggiatore non deve rappresentare una barriera all’esplorazione, ma piuttosto un’opportunità per adottare tecnologie e protocolli innovativi. Integrando farmaci intelligenti, biosensori indossabili e telemedicina avanzata, il moderno avventuriero può trasformare la propria preparazione sanitaria in un vantaggio competitivo, esplorando confini inaccessibili con una sicurezza impensabile solo un decennio fa. La chiave risiede nell’approccio proattivo: come un esploratore studia mappe e condizioni meteo, così deve padroneggiare il microbiota del destino scelto.

Citations:

Bassado, Normix, Bimixin, Imodium: farmaci per la diarrea del viaggiatore

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INSETTI E ARTROPODI VELENOSI

INSETTI E ARTROPODI VELENOSI
CARATTERISTICHE, EFFETTI E TRATTAMENTO DELLE PUNTURE

 

Gli artropodi rappresentano il phylum più numeroso del regno animale. Sono un gruppo di invertebrati che comprende circa il 5/6% delle specie finora classificate. Ne fanno parte insetti, zecche, ragni, acari. La maggior parte degli artropodi vive tranquillamente, cibandosi di succhi vegetali e piante o predando altri piccoli animali. Alcuni di questi organismi sono però capaci di inoculare veleni potenzialmente pericolosi per la salute dell’uomo.

   GLI ARTROPODI
                             GLI ARTROPODI

Desidero fornirvi notizie sulle principali specie di insetti e altri artropodi velenosi, con particolare attenzione a quelli presenti in Italia ed Europa, esaminando sinteticamente le loro caratteristiche morfologiche e comportamentali. Seguirà la descrizione gli effetti dei loro veleni sull’organismo umano e i protocolli terapeutici più efficaci per il trattamento delle punture e delle reazioni sistemiche associate.

 

CLASSIFICAZIONE DEGLI ARTROPODI VELENOSI

 

IMENOTTERI
Gli imenotteri costituiscono uno degli ordini di insetti più rilevanti dal punto di vista sanitario per la capacità di provocare reazioni anche gravi mediante l’inoculazione di veleno.

Tra le specie più significative troviamo:

Api (Apis mellifera)

Le api mellifere sono insetti sociali di dimensioni medio-piccole (10-15 mm), caratterizzate da un corpo peloso a strisce gialle e nere. Vivono in colonie organizzate e sono diffuse in tutta Europa. Il loro apparato pungente è costituito da un aculeo uncinato che rima

APE
                               APE

ne conficcato nella cute della vittima insieme al sacco velenifero, causando la morte dell’insetto dopo la puntura. Le api pungono principalmente in primavera ed estate e lo fanno una sola volta, a differenza di altri imenotteri.
Il veleno dell’ape contiene una complessa miscela di sostanze bioattive, tra cui istamina, fosfolipasi, ialuronidasi e chinine, che possiedono azione emolitica, neurotossica e ipersensibilizzante, ed accelerano la reazione infiammatoria. La puntura provoca dolore immediato, arrossamento ed edema locale che generalmente regrediscono in poche ore, ma in soggetti sensibilizzati può scatenare reazioni allergiche anche severe fino ad arrivare allo shock allergico.

 

Vespe e Calabroni
Le vespe (Vespula spp., Polistes spp.) sono imenotteri di dimensioni variabili (12-25 mm) con caratteristica colorazione a bande gialle e nere. A differenza delle api, possiedono un pungiglione liscio che consente punture multiple senza perdere l’apparato velenifero. Le punture di vespa sono più frequenti in primavera, ma anche in estate.
I calabroni (Vespa crabro) sono i più grandi imenotteri europei, raggiungendo i 3-3,5 cm di lunghezza. Anch’essi dotati di pungiglione liscio, tendono a pungere principalmente a fine estate. Il loro veleno contiene componenti simili a quello delle vespe ma in concentrazioni maggiori, potendo causare reazioni più intense e raramente anche mortali.

 

 

 

Formiche
In Europa, le formiche del genere Formica possono provocare punture dolorose, mentre in altre regioni del mondo, come l’America, le formiche di fuoco (Solenopsis invicta) rappresentano un rischio sanitario più significativo. Il veleno delle formiche contiene alcaloidi ed enzimi capaci di provocare reazioni locali infiammatorie significative ed anche dolorose.

 

Aracnidi
Gli aracnidi velenosi comprendono principalmente ragni e scorpioni:

Ragni
In Italia, le specie di ragni potenzialmente pericolose includono:
• Malmignatta o vedova nera mediterranea (Latrodectus tredecimguttatus)
• Ragno violino (Loxosceles rufescens)
Entrambe queste specie possono provocare sintomi locali e generali e sistemici rilevanti attraverso l’inoculazione di neurotossine o citotossine.

 

 

Scorpioni
Gli scorpioni presenti in Europa e in Italia raramente causano avvelenamenti gravi, a differenza di quelli presenti in altre regioni del mondo. Il loro veleno può causare disturbi gravi e a volte mortali, specialmente nei bambini.

 

Distribuzione geografica in Italia e in Europa

 

Imenotteri
Le api (Apis mellifera) sono diffuse in tutta Europa, con varianti subspecifiche come l’ape ligustica (tipica dell’Italia centrale). Le vespe più comuni in Italia includono la Vespula germanica, la Vespula vulgaris e diverse specie di Polistes. Il calabrone europeo (Vespa crabro) è presente in tutto il continente, mentre più recentemente si è diffuso anche il calabrone asiatico (Vespa velutina).

Aracnidi
In Italia, la malmignatta è presente principalmente nelle regioni centro-meridionali e nelle isole, mentre il ragno violino è diffuso in tutto il territorio nazionale, specialmente nelle aree urbane.

 

Gli scorpioni presenti in Italia (Euscorpius spp.) sono generalmente poco pericolosi per l’uomo.

 

 

 

Composizione dei veleni e meccanismi d’azione

 

Veleno degli imenotteri
Il veleno degli insetti imenotteri (api, vespe, calabroni) contiene una complessa miscela di sostanze biologicamente attive, tra cui:
• Istamina (responsabile della reazione infiammatoria locale)
• Fosfolipasi (enzima che danneggia le membrane cellulari)
• Ialuronidasi (facilita la diffusione del veleno nei tessuti)
• Chinine e altre sostanze vasoattive
• Peptidi con proprietà neurotossiche
Queste componenti conferiscono al veleno proprietà infiammatorie, emolitiche, neurotossiche e fortemente ipersensibilizzanti. Il meccanismo d’azione principale consiste nell’attivazione di una risposta infiammatoria locale, che nei soggetti sensibilizzati può scatenare una reazione allergica sistemica mediata da IgE.

 

Effetti sull’organismo umano e rischi associati

Reazioni locali
Le reazioni locali rappresentano la risposta più comune alle punture di artropodi velenosi e si manifestano con:
• Dolore immediato e intenso
• Eritema e gonfiore nella zona interessata
• Prurito
• Formazione di edema locale
Questi fenomeni tendono generalmente a regredire rapidamente, nell’arco di poche ore o giorni.

 

Reazioni sistemiche
Le reazioni sistemiche possono manifestarsi con diversi gradi di severità e sono classificate secondo scale standardizzate come quella di Mueller o di Ring.
I sintomi possono comparire da pochi minuti fino a un’ora dopo la puntura, sebbene occasionalmente possano manifestarsi anche a distanza di ore o giorni.
Il decesso causato dalla puntura di imenotteri può verificarsi in due circostanze principali:
1. Punture multiple da parte di un gran numero di insetti (decine o centinaia)
2. Reazione anafilattica scatenata dal veleno di un singolo insetto in soggetti sensibilizzati

 

Fattori di rischio
Diversi fattori influenzano la probabilità di sviluppare reazioni severe:
• Storia di precedenti reazioni sistemiche
• Età avanzata
• Comorbidità (patologie cardiovascolari, asma, mastocitosi)
• Assunzione di farmaci (beta-bloccanti, ACE-inibitori)
• Frequenza di esposizione e tipo di insetto
È interessante notare che in alcuni pazienti con anamnesi di reazione anafilattica, sia il dosaggio delle IgE specifiche che i test cutanei possono risultare negativi. Questo fenomeno è particolarmente frequente nei pazienti affetti da mastocitosi, nei quali è ipotizzabile un meccanismo tossico di rilascio aspecifico dei mediatori dai mastociti.

Prevenzione delle punture di insetti velenosi

Le misure preventive includono:
1. Evitare abbigliamento con colori vivaci e profumi intensi in ambienti a rischio
2. Indossare abiti a maniche lunghe e pantaloni lunghi in ambienti naturali
3. Utilizzo di repellenti specifici
4. Prestare attenzione durante attività all’aperto, specialmente durante i periodi di maggiore attività degli insetti
5. Evitare di disturbare nidi e alveari
Per i soggetti allergici al veleno di imenotteri, la prevenzione più efficace è rappresentata dall’immunoterapia specifica, che può modificare la risposta immunitaria e prevenire reazioni anafilattiche in caso di nuove punture.

Una breve sintesi del trattamento delle punture di insetti velenosi

Primo soccorso
In caso di puntura di imenottero (api, vespe, calabroni), le misure di primo intervento includono:

1. Rimozione del pungiglione (se presente, come nel caso delle api) senza spremere il sacco velenifero, preferibilmente raschiando con una carta di credito o un oggetto simile
2. Lavaggio dell’area con acqua e sapone
3. Applicazione di ghiaccio per ridurre il dolore e limitare l’assorbimento del veleno
4. Disinfezione locale della zona colpita
5. Intervento farmacologico idoneo (clicca qui per gli interventi terapeutici)

Per le punture di api, vespe, calabroni e altri artropodi velenosi è disponibile anche un dispositivo di stimolazione elettrica denominato Ecosave, che emette scariche ad elevato voltaggio e basso amperaggio. Questo strumento, se applicato rapidamente, può contribuire a ridurre i sintomi locali come dolore, bruciore, arrossamento e gonfiore, così come le conseguenze del veleno introdotto sotto cute.
La procedura prevede l’applicazione di un elettrodo sulla puntura e, facendo perno su di essa, l’erogazione in senso circolare di 3-7 scariche o più, secondo necessità. Prima dell’utilizzo è necessario asportare eventuali pungiglioni, aculei o spine rimasti conficcati nella cute.

Trattamento farmacologico delle reazioni locali CLICCA QUI

Il trattamento delle reazioni locali si basa su:
• Antistaminici per via orale per ridurre il prurito
• Corticosteroidi topici per ridurre l’infiammazione
• Analgesici (paracetamolo, FANS) per il controllo del dolore

Gestione delle reazioni allergiche severe e dello shock anafilattico
In caso di reazione allergica severa o shock anafilattico, il trattamento deve essere immediato e comprende:
1. Somministrazione di adrenalina (epinefrina) intramuscolare, farmaco di prima scelta che può essere salvavita
2. Ossigenoterapia
3. Fluidoterapia endovenosa per contrastare l’ipotensione
4. Antistaminici (anti-H1) per via parenterale
5. Corticosteroidi per via endovenosa (metilprednisolone)
6. Beta-agonisti per via inalatoria in caso di broncospasmo

I pazienti con storia di reazioni anafilattiche dovrebbero essere dotati di un autoiniettore di adrenalina da utilizzare tempestivamente in caso di nuova puntura, in attesa di soccorsi medici.

Conclusioni
Le punture di insetti e artropodi velenosi rappresentano un problema sanitario rilevante, specialmente per i soggetti allergici nei quali anche una singola puntura può determinare reazioni potenzialmente letali. La conoscenza delle specie più pericolose, il riconoscimento tempestivo delle reazioni sistemiche e l’applicazione rapida delle appropriate misure terapeutiche sono fondamentali per la gestione efficace di questi eventi.
Per i soggetti con storia di reazioni allergiche, l’immunoterapia specifica rappresenta attualmente l’unico trattamento in grado di modificare la storia naturale della malattia, riducendo significativamente il rischio di reazioni anafilattiche in caso di nuove punture.
dr. Paolo Meo
direttore POLO VIAGGI la clinica del viaggiatore

 

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Ospedale Al Rajaa di Aleppo un baluardo di “SPERANZA”

il prof KETTI nel suo ospedale
                 Il prof KETTI nel suo ospedale

Marzo 2025
L’ospedale Al Rajaa di Aleppo, il cui nome significa “Speranza”, rappresenta una delle poche strutture sanitarie ancora funzionanti in una città devastata da anni di conflitto. Fondato nel 2003 dal chirurgo ortopedico Emile Katti in collaborazione con Monsignor Giuseppe Nazzaro, questo ospedale è diventato un simbolo di resilienza e un esempio di coesistenza pacifica in un paese lacerato dalle divisioni settarie.
La struttura, di proprietà della Custodia di Terra Santa, è uno dei più grandi ospedali privati di Aleppo con 65 posti letto e uno dei pochi ancora pienamente funzionanti nel nord della Siria. Il Professor Katti, che dirige l’ospedale da oltre vent’anni, ha scelto di rimanere ad Aleppo nonostante il suo passaporto francese e le qualifiche professionali gli avrebbero permesso di trasferirsi all’estero. La sua decisione testimonia un profondo impegno nei confronti della popolazione siriana. Nel corso degli anni, il Dottor Katti è diventato una voce autorevole per la situazione sanitaria in Siria, partecipando a convegni internazionali per testimoniare le difficoltà affrontate dai medici siriani.
Uno degli aspetti più significativi dell’ospedale è la composizione del suo staff, che riflette la diversità etnica e religiosa della Siria. L’équipe medica include professionisti di diverse confessioni: cristiani cattolici, maroniti, musulmani sciiti, sunniti e alawiti. Anche dal punto di vista etnico, l’ospedale accoglie personale di diverse origini, tra cui curdi e armeni. Questa coesistenza pacifica ha fatto dell’ospedale quello che il Dottor Katti ha definito “un ottimo laboratorio di convivenza” prima della guerra. Anche durante il conflitto, l’ospedale ha mantenuto questa filosofia inclusiva, offrendo cure a tutti i pazienti senza discriminazioni, come sottolineato dallo stesso Katti: “Non chiediamo mai se sono civili o militari, cristiani o musulmani”.
Durante gli ultimi quattordici anni di conflitto, l’ospedale ha dovuto affrontare sfide enormi. Tra le principali difficoltà vi è stata la carenza di personale medico specializzato, poiché molti professionisti hanno lasciato il paese. Il Dottor Katti ha spiegato che ad Aleppo, che nel 2005 contava 2 milioni di abitanti, erano rimasti solo due o tre neurochirurghi, con altre specializzazioni in condizioni simili.
L’ospedale ha anche sofferto di gravi problemi infrastrutturali. La mancanza di elettricità ha costretto a fare affidamento su generatori a gasolio, che spesso si guastavano o esplodevano perché non progettati per un uso continuativo. La carenza di acqua, bloccata in alcuni periodi dall’ISIS, ha ulteriormente complicato le operazioni. I macchinari si danneggiavano frequentemente a causa degli improvvisi blackout, e la loro riparazione era difficile per la fuga degli ingegneri biomedici.
L’embargo internazionale ha rappresentato un altro ostacolo significativo. Il Dottor Katti ha denunciato come le sanzioni occidentali abbiano reso quasi impossibile ricevere fondi dall’Europa o acquistare nuove attrezzature mediche. Nonostante queste difficoltà, Al Rajaa è riuscito a continuare la sua attività, offrendo cure a circa 800-1000 persone al mese nel 2014, numero salito a oltre 1000 pazienti mensili negli anni successivi.
L’ospedale ha beneficiato del sostegno di diverse organizzazioni umanitarie e religiose internazionali. L’Associazione Pro Terra Sancta ha fornito regolarmente aiuti umanitari, tra cui generi alimentari, beni di consumo e medicinali essenziali. La Fondazione Cesmet ed il gruppo India ha sostenuto l’ospedale attraverso campagne di raccolta fondi, mentre Radio Vaticana ha contribuito a dare visibilità internazionale alla situazione. Nel 2025, Caritas Ambrosiana ha stanziato fondi per garantire l’autonomia energetica dell’ospedale attraverso l’installazione di un impianto fotovoltaico, cercando di risolvere uno dei problemi più persistenti: la mancanza di elettricità affidabile.
Negli ultimi mesi, la situazione ad Aleppo è drammaticamente peggiorata.
A fine novembre 2024, la città è caduta nuovamente in mano ai ribelli del gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham, dopo essere stata sotto il controllo governativo dal 2016. Questo cambio ha generato nuove tensioni e violenze, con conseguenze dirette sulla popolazione civile e sulle infrastrutture sanitarie. Il parroco latino di Aleppo, Padre Bahjat Elia Karakach, ha recentemente descritto la città come “sull’orlo di una guerra civile”, con un clima di grande tensione che si respira in tutta la Siria.
In questo contesto estremamente volatile, l’ospedale Al Rajaa continua a rappresentare uno dei pochi punti di riferimento sanitari per la popolazione locale. Nonostante le notizie recenti non forniscano dettagli specifici sulle condizioni attuali dell’ospedale, gli sforzi continuativi delle organizzazioni internazionali per sostenerlo suggeriscono che continui a operare, pur tra mille difficoltà. L’impegno di Caritas Ambrosiana per l’installazione di un impianto fotovoltaico nel 2025 indica che ci sono progetti attivi per migliorare la funzionalità dell’ospedale anche in questa fase critica.
L’ospedale Al Rajaa rappresenta molto più di una semplice struttura sanitaria. In un paese devastato da anni di conflitto, divisioni settarie e crisi umanitarie, è diventato un simbolo di speranza e resilienza.

Grazie alla dedizione del Professor Emile Katti e del suo staff multietnico e multireligioso, Al Rajaa continua a offrire assistenza medica vitale alla popolazione di Aleppo, indipendentemente dalle loro affiliazioni religiose o politiche, rimanendo un faro di speranza per migliaia di siriani in un periodo di profonda incertezza.

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In Siria la città di Aleppo vive una crisi umanitaria senza precedenti

Marzo 2025 da Aleppo, la storica città siriana, patrimonio dell’UNESCO, giungono notizie drammatiche. La città sta vivendo una grave crisi umanitaria dalla fine di novembre 2024, quando gruppi ribelli islamisti guidati da Hayat Tahrir al-Sham (HTS) hanno lanciato un’offensiva lampo conquistandola. La popolazione è intrappolata in una città sotto assedio, dove i servizi essenziali sono collassati e la violenza continua a imperversare.

 

Solo due ospedali rimangono operativi, mentre il rumore delle mitragliatrici risuona nel centro città.
L’offensiva ribelle ha violato un cessate il fuoco che durava da cinque anni. I gruppi jihadisti, sostenuti dalla Turchia, hanno preso rapidamente il controllo di punti strategici, annunciando di aver conquistato il quartier generale della polizia e l’edificio del governatorato. Le milizie hanno occupato numerosi     quartieri occidentali della città e circa 60 villaggi nel nord-ovest della Siria. L’aviazione russa ha cercato di fermare l’avanzata bombardando i ribelli, dichiarando di aver eliminato circa 200 combattenti, senza riuscire a impedire la caduta della città. L’offensiva ha provocato oltre 300 morti nei primi giorni dell’attacco.
La crisi umanitaria si aggrava giorno dopo giorno. Un attacco jihadista recente ha causato più di 200 morti tra civili e militari. Le forze armate sono a soli 10 chilometri dal centro città. I servizi di base sono paralizzati: la popolazione vive senza elettricità, acqua e cibo sufficiente. I luoghi di lavoro sono deserti e la chiusura dell’autostrada strategica tra Aleppo e Damasco ha ulteriormente complicato l’arrivo di soccorsi.
Circa 25.000 cristiani e migliaia di altre persone sono rimaste intrappolate in città. Come riferisce Marielle Boutros di ACS Internazionale, “la gente è in trappola, nessuno può entrare o uscire dalla città”. Il cibo scarseggia, i prezzi sono saliti alle stelle e si rischia il collasso energetico

Il sistema sanitario è al collasso.

OSPEDALE AL RAJAA
                    OSPEDALE AL RAJAA

Solo due ospedali rimangono operativi per i casi critici, lottando per mantenere i servizi di emergenza in un contesto sempre più precario.  Mancano medicine e attrezzature essenziali, mentre il personale medico opera in condizioni estremamente difficili. Organizzazioni umanitarie come Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) e AVSI hanno lanciato campagne di emergenza, ma queste iniziative non bastano a coprire l’enorme divario tra i bisogni della popolazione e i servizi disponibili.

La vita quotidiana è una lotta per la sopravvivenza. Le scuole non sono operative, le banche hanno smesso di funzionare e il coprifuoco limita la mobilità delle persone. Le famiglie lottano per procurarsi cibo e beni di prima necessità, mentre l’inflazione rende i prezzi inaccessibili. La situazione è particolarmente difficile per bambini, anziani e persone con disabilità. L’impatto psicologico del conflitto prolungato è devastante, con traumi diffusi tra la popolazione.
Nonostante il contesto difficile, diverse organizzazioni umanitarie continuano a operare. ACS ha avviato quattro progetti: “Una Goccia di Latte” per l’alimentazione dei bambini, assistenza agli ospedali, aiuti agli sfollati e soluzioni energetiche alternative. AVSI fornisce supporto psicosociale, assistenza in denaro mensile e inclusione sociale per le persone disabili.
Le sfide future sono immense. La ricostruzione della città richiederà un impegno massiccio e coordinato a livello internazionale. L’instabilità politica della Siria, il recente cambio di regime e le tensioni settarie complicano gli sforzi di stabilizzazione. Aleppo si trova intrappolata tra le rovine di un conflitto che sembra non avere fine, mentre la popolazione lotta quotidianamente per sopravvivere in condizioni estremamente difficili.

In Siria la città di Aleppo vive una crisi umanitaria senza precedenti Leggi tutto »

Siria un periodo critico verso un futuro incerto

SIRIA 10 marzo 2025. Un paese sempre più violento.

La Siria sta attraversando un periodo critico dalla caduta del regime di Bashar al-Assad avvenuta a dicembre 2024. Negli ultimi giorni il paese è stato teatro di violenti scontri settari tra le forze governative e i lealisti dell’ex presidente, con un bilancio di oltre mille morti, principalmente civili alawiti. Le violenze sono concentrate nelle province costiere di Latakia e Tartus, roccaforti storiche del sostegno ad Assad.
Gli scontri sono iniziati il 6 marzo 2025, quando un’imboscata contro una pattuglia governativa nei pressi di Jableh ha innescato una spirale di violenza. L’Osservatorio siriano per i diritti umani riporta almeno 745 civili alawiti uccisi “a sangue freddo” in quello che viene descritto come un “massacro settario”. Le nuove autorità hanno inviato rinforzi nelle città di Latakia e Tartus, imponendo il coprifuoco. La periferia delle città di Baniyas e Jableh, così come Qardaha, città natale dell’ex presidente, e diversi villaggi alawiti rimangono sotto il controllo dei lealisti di al-Assad.
La transizione politica è iniziata dopo la caduta di Assad l’8 dicembre 2024, quando gruppi di insorti guidati dall’islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) hanno rovesciato il governo. Il 29 gennaio 2025, Ahmad al-Sharaa, precedentemente noto come Abu Mohammad al-Jolani e leader di HTS, è stato nominato presidente ad interim. Tra i primi provvedimenti: scioglimento del vecchio parlamento, sospensione della costituzione del 2012, scioglimento del partito Baath e smantellamento dell’esercito e delle agenzie di sicurezza del vecchio regime.
Il presidente ad interim al-Sharaa ha delineato come priorità la ricostruzione delle istituzioni, il mantenimento della pace, il rilancio dell’economia e il ripristino del ruolo internazionale della Siria. Il 25 febbraio 2025 si è tenuta una conferenza per il dialogo nazionale, formulando 18 raccomandazioni sulla transizione.
Al-Sharaa sta affrontando enormi sfide per stabilizzare il paese. Dopo i recenti scontri, ha invitato alla concordia: “Possiamo vivere insieme. Quello che sta succedendo nel Paese è fra le sfide che erano prevedibili, ma dobbiamo preservare l’unità nazionale”. La presidenza siriana ha annunciato la creazione di una “commissione d’inchiesta” indipendente per indagare sui massacri di civili. Al-Sharaa ha sviluppato una strategia di riabilitazione, con gesti come il restyling da civile e dichiarazioni inclusive in favore delle minoranze. Tuttavia, ha dichiarato che potrebbero essere necessari fino a quattro anni prima delle elezioni.
La situazione umanitaria è disastrosa: 16,7 milioni di persone necessitano di assistenza, quasi due terzi della popolazione totale. Tra queste, i minori rappresentano il 45%. Più di un milione di persone sono fuggite dalle proprie case negli ultimi mesi. Nel corso degli anni ci sono stati più di 7,2 milioni di sfollati interni e oltre 5 milioni di rifugiati nei Paesi vicini. Il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
A livello internazionale, l’Iran ha perso un importante alleato, mentre Qatar e Arabia Saudita sostengono la nuova amministrazione. La Turchia ha assunto un ruolo significativo, con al-Sharaa invitato ad Ankara dal presidente Erdogan. L’Unione Europea ha mostrato cauto ottimismo, dicendosi pronta a sostenere il processo di transizione e ricostruzione.
La Siria si trova a un punto di svolta cruciale. La caduta di Assad ha aperto la possibilità di una transizione più democratica, ma le violenze settarie dimostrano la fragilità dell’equilibrio attuale. La strada verso la stabilità è irta di ostacoli, e il popolo siriano, stremato da quasi 14 anni di conflitto, attende finalmente la pace.

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La Tubercolosi: Un’Emergenza Globale che Riguarda Anche l’Italia

La Tubercolosi è una emergenza globale che riguarda non solo i paesi a scarso livello igienico ma anche i paesi avanzati tra cui Europa e USA. Anche l’Italia è presa dal fenomeno. ( 09 marzo 2025)
La tubercolosi (TB) continua a rappresentare una delle più gravi emergenze sanitarie a livello mondiale, ben lontana dall’essere un ricordo dell’era vittoriana. Negli ultimi anni, la malattia ha ripreso vigore anche in paesi sviluppati, con focolai significativi che rappresentano un campanello d’allarme per i sistemi sanitari nazionali e globali.

Il ritorno della tubercolosi nei paesi sviluppati
Uno dei più vasti focolai di tubercolosi nella storia degli Stati Uniti si è recentemente verificato in Kansas, dove nell’ultimo anno sono state diagnosticate 67 persone affette da TB. Questo incremento si inserisce in un trend di crescita continua dei casi negli Stati Uniti dall’inizio della pandemia di COVID-19. La tubercolosi, lungi dall’essere un problema del passato, è tornata a essere la principale causa di morte al mondo per un singolo agente infettivo, dopo tre anni in cui questo triste primato era detenuto dal COVID-19.
Nel Regno Unito, i tassi di TB sono diminuiti costantemente tra il 2011 e il 2020, ma questa tendenza positiva si è invertita dall’emergere del COVID. Nel 2023, si è registrato un aumento del 13% del numero di persone ammalatesi di TB in Inghilterra rispetto all’anno precedente, mettendo a rischio lo status di “bassa incidenza di TB” del paese.

La situazione italiana: dati e tendenze
Anche l’Italia è interessata dal fenomeno, sebbene con numeri più contenuti rispetto ad altri paesi. Nel 2023 sono stati registrati 2.600 nuovi casi diagnosticati di tubercolosi, corrispondenti a un tasso di 4,4 casi per 100.000 abitanti. Questo dato, pur rappresentando un calo del 33% rispetto al 2015, è ancora lontano dall’obiettivo di ridurre l’incidenza del 50% entro il 2025. Nel 2022, i casi notificati erano stati 2.700, con un’incidenza pari a 4,6 ogni 100.000 abitanti.
Dal 2020, l’Italia ha registrato meno di 3.000 casi all’anno, con 2.480 casi notificati nel 2021. Nonostante questi numeri possano apparire relativamente bassi, gli esperti avvertono che dal 2025 la tubercolosi potrebbe diventare la principale causa di decesso per singolo agente infettivo.

Chi sono i soggetti più a rischio in Italia
In Italia, i casi di tubercolosi riguardano principalmente due categorie di persone. Da un lato, i migranti che spesso sono entrati in contatto con il micobatterio anni prima nel loro Paese di origine e che poi si ammalano dopo l’arrivo in Italia, anche a causa delle condizioni di stress e dell’abbassamento delle difese immunitarie legati al viaggio e alla nuova condizione. Dall’altro lato, ci sono pazienti anziani nati in Italia che hanno contratto il batterio in gioventù, quando la TB era una malattia più frequente, e che sviluppano la malattia in età avanzata, quando il fisico è più fragile.
La tubercolosi è infatti tornata a costituire un’emergenza soprattutto presso le popolazioni vulnerabili, tra cui soggetti migranti, pazienti immunodepressi, e persone che vivono in contesti di convivenza stretta come rifugi per senzatetto e carceri.

Diagnosi della tubercolosi: i test più utilizzati
La diagnosi precoce della tubercolosi è fondamentale per prevenire problemi di salute a lungo termine e ridurre la trasmissione dell’infezione. Due sono i principali test utilizzati per la diagnosi: il Test di Mantoux e il Quantiferon.

Il Test di Mantoux
Il Test di Mantoux, test in vivo, noto anche come test cutaneo alla tubercolina (TST), è un metodo di screening tradizionale per verificare la presenza di infezione, anche latente, da parte del Micobatterio della Tubercolosi. Viene eseguito mediante un’iniezione intradermica di una soluzione contenente derivati proteici purificati della tubercolina nella parte interna dell’avambraccio. Viene studiata la reazione delle cellule linfocitarie e di altre famiglie di globuli bianchi a livello intradermico. (da qui test in vivo)
Se il test è positivo, si sviluppa un rigonfiamento cutaneo duro con un diametro che supera un valore soglia (5, 10 o 15 mm in base alla classe di rischio del paziente) nelle successive 48-72 ore. La misurazione di questa reazione cutanea aiuta a quantificare la risposta immunitaria del paziente, offrendo informazioni importanti sulla storia dell’esposizione al Mycobacterium tuberculosis.
È importante notare che la positività al test per un paziente con infezione in corso si verifica solo dopo 8 settimane dal contagio (periodo finestra), quindi in casi di sospetto contagio, anche in presenza di test negativo, è necessario ripeterlo dopo 8-10 settimane.

Il Test Quantiferon
Il Quantiferon è un test di laboratorio (test in vitro) che può affiancare, non sostituire, la reazione intradermica della Mantoux. Viene utilizzato per diagnosticare sia la tubercolosi polmonare attiva e l’infezione da micobatteri non tubercolari, sia per individuare un’infezione latente di tipo tubercolare.
A differenza del test Mantoux, il Quantiferon misura la quantità di interferone gamma prodotta dai linfociti T e dai monociti prelevati e messi a contatto con gli antigeni specifici del Mycobacterium tuberculosis (ESAT-6 e CFP-10). Il risultato viene espresso in termini di positivo/negativo: la positività si riscontra in caso di soggetti con un’infezione tubercolare in atto o latente, mentre i soggetti vaccinati risultano negativi.Un vantaggio significativo del Quantiferon è che non produce reazioni crociate in soggetti vaccinati con BCG, riducendo così i falsi positivi rispetto al test Mantoux.

Le sfide della prevenzione e del trattamento
Per contrastare efficacemente la diffusione della tubercolosi, è essenziale avviare programmi di sorveglianza che includano anche i casi di infezione latente. Attualmente, in Italia non esiste un registro centralizzato che raccolga le notifiche provenienti dalle strutture locali e dal Ministero della Sanità, il che rende più difficile il monitoraggio e la prevenzione di eventuali aumenti della malattia.
Inoltre, il trattamento della tubercolosi richiede terapie lunghe, di almeno sei mesi, che in alcuni casi possono essere anche più prolungate. Sebbene a livello globale il tasso di successo del trattamento per la tubercolosi sensibile ai farmaci rimanga elevato (88%), la gestione dei casi resistenti ai farmaci rappresenta una sfida crescente.

Un problema globale che richiede soluzioni condivise
La tubercolosi è un’infezione aerea che non rispetta i confini nazionali. Con l’aumento dei movimenti di massa, anche a causa del cambiamento climatico e dei conflitti, il principio secondo cui “la TB ovunque è TB ovunque” è oggi più valido che mai.
Per porre fine alla tubercolosi, sia negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Italia o a livello globale, è fondamentale ricordare e applicare il vecchio adagio medico: curare la persona, non la malattia. Questo implica non solo migliorare i metodi diagnostici e terapeutici, ma anche affrontare le condizioni socioeconomiche che favoriscono la diffusione della TB, come la povertà, il sovraffollamento e la malnutrizione, l’ambiente dove si vive. Aria e sole rimangono due paletti fondamentali per il controllo della persona..
L’obiettivo di eliminare la tubercolosi entro il 2035 appare ancora lontano, ma con un impegno coordinato a livello globale, nazionale e locale, è possibile fare significativi passi avanti nella lotta contro questa antica ma persistente minaccia.

https://www.clinicadelviaggiatore.com/test-mantoux-o-tst-o-test-igra-quantiferon/
https://www.epicentro.iss.it/tubercolosi/Tb_Mdr-Xdr
https://www.epicentro.iss.it/tubercolosi/epidemiologia

 

dr. Paolo Meo
direttoro POLO VIAGGI – la clinica del viaggiatore
CESMET – ARTEMISIA

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